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“Tristesse, che parola graziosa...”. Nella Parigi degli anni Trenta, dove ogni alberghetto è uguale all’altro e ogni café può celare un nuovo, tormentoso incontro, una donna che scopre di non essere più giovane insegna a se stessa l’arte del distacco. E Londra, dove presto dovrà tornare, non le riserva niente di meglio: “Perché non ti sei annegata nella Senna?” le domanda l’ultimo parente che sembrava disposto a occuparsi di lei. Per Sasha, ormai, si tratta solo di dimenticarsi “dei vicoli bui, dei fiumi bui, del dolore, della lotta”, delle “voci che loro usano come pugnali”. E quando i giorni e le notti si fanno ancora più solitari e desolati, c’è un unico modo per sopravvivere alla sua caparbia, febbrile perdizione: “Soprattutto non piangere in pubblico, e se possibile nemmeno in privato”. Meglio tingersi subito i capelli di biondo cenere e correre all’appuntamento con quello strano gigolo dalla nazionalità indecifrabile e la lunga cicatrice che gli attraversa la gola.